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# Colloquio: FRANCESCO QUARANTA: «Quello che bisogna fare tutti i giorni su un campo di calcio è andare a giocare»

Tiempo de lectura: 6 minutos

Oggi vi presento un altro allenatore italiano con una vasta esperienza nel calcio giovanile italiano, avendo allenato nelle principali settori giovanili del nostro Paese.

Presentiamo il lavoro, le opinioni e l’esperienza di Francesco Quaranta.

Chi è Francesco?

Difficile poter rispondere a questa domanda perché trascende dall’umana comprensione, sarebbe come provare a dare una risposta al mistero della vita. Luigi Pirandello scrisse un romanzo dal titolo: “uno, nessuno e centomila” e questa (al momento) mi sembra l’unica risposta alla domanda: chi sono? Sono un IO unico fatto di tanti VOI diversi;

Sono me stesso ma anche “un insieme” di tutte quelle persone che ho incontrato nella vita e che mi hanno donato qualcosa di loro aiutandomi a essere oggi Francesco; ritengo questo il miglior modo per descrivermi.  Forse questa domanda andrebbe fatta a chi mi conosce. 

Come hai iniziato nel mondo del calcio e cosa ti ha spinto all’inizio?

Penso di aver iniziato come il 99% delle persone che fanno parte del mondo del calcio: per passione. L’essere umano trova la sua motivazione soltanto nella passione perché solo facendo ci  che si ama si pu  avere una vita felice e a me sembra di amare ancora questo gioco come lo amavo da bambino; forse è l’amore verso di esso che mi ha spinto a iniziare, e ad arrivare sino a oggi. 

Puoi raccontarci qual è stata la tua prima squadra e quali esperienze fondamentali hai vissuto lì?

 Sono passati tantissimi anni da quell’inizio come allenatore di settore giovanile; penso che fosse una squadra di bambini U12 ma non ho ricordi molto nitidi di quel periodo.  Sicuramente una cosa che ricordo è il senso di Responsabilità con cui mi sono sempre approcciato ai ragazzi, ed è una cosa che ancora oggi mi porto dietro come allenatore.  Avere a che fare con i ragazzi comporta una enorme responsabilità perché prima di essere giocatori sono essere umani e non si pu  essere troppo superficiali.  Si ha a che fare con il loro futuro.

Nel corso della tua carriera, quali sono state le squadre più importanti con cui hai lavorato e quali sfide ti hanno presentato?

Qualsiasi Club in cui ho allenato è stato importante perché nel momento che ti scelgono ti rendono “importante”; ti stanno dando la possibilità di fare ci  che ami e per questo ho grande rispetto. Ovviamente se ci si riferisce al blasone del club: il Milan. 

Quando entri in un club con così tanta storia e prestigio ogni cosa che ti pone davanti “il giorno a giorno” è una sfida, ma l’aver a che fare con ragazzi (giocatori) che hanno grandi capacità calcistiche è la sfida delle sfide. Bellissimo. 

Come si è evoluta la tua metodologia di lavoro nel tempo e nei diversi contesti?

Non mi piace la parola Metodologia perché ha a che fare con qualcosa di “metodico” e di abitudinario quando, invece, abbiamo a che fare con l’Essere umano e un Gioco che di metodico e abitudinario hanno ben poco; parlerei più di Giocologia mi sembra più pertinente. 

Questo mio modo di pensare e riflettere sul gioco e i giocatori nasce dal confronto, in tanti anni, con un vostro connazionale che oltre a essere un grande allenatore e conoscitore di calcio è sopratutto un grande amico; sto parlando di Oscar Cano Moreno. Il suo passaggio nel mio cammino calcistico è stato un vero BigBang.

Vorrei finire questa risposta con una riflessione, non vi sembra strano che: all’aumentare di così tante metodologie corrisponde una diminuzione di giocatori talentosi?, e di conseguenza perché i luoghi dove si dovrebbe giocare a calcio sono quelli dove si gioca meno per via di così tanto allenamento? Qualcosa non torna. 

Nel tuo lavoro con i giocatori, quali elementi ritieni indispensabili per il loro sviluppo tecnico e mentale?

Penso che la risposta precedente abbia già un po’ delineato quello che è il mio modo di pensare e agire nel calcio; quello che bisogna fare tutti i giorni su un campo di calcio è andare a giocare perché è poi quello che succede il giorno della competizione, e per essere competivi bisogna essere competenti con questo gioco.

Quello che mi interessa di un giocatore non è la sua capacità di agire ma quella di interagire. In ogni giorno di allenamento cerco sempre di mettere il giocatore nella condizione di: dipendere da lui così come deve dipendere dagli altri. Posso riuscire in questo compito solo servendomi del gioco. 

Puoi descrivere una seduta di allenamento che rappresenti il tuo stile e il tuo modo di intendere il calcio?

Anche qui ho anticipato il discorso con la riposta precedente. Fondamentalmente cerco di preparare un luogo (il campo di calcio) dove si possa giocare per tutto il tempo che si ha disposizione, non è facile ma neanche impossibile. Inoltre cerco di essere sempre il più “inclusivo” possibile con tutti i partecipanti all’allenamento (che brutta parola), portieri compresi, ecco un esempio per rendere l’idea  del mio modo di “allenare” non mi piace dividere: il gruppo, il tempo e i momenti del gioco. 

Parlando di formazione in Italia, come valuti il sistema formativo italiano nel calcio giovanile?

R: Vorrei evitare questa domanda perché la mia risposta potrebbe nuocere la sensibilità di qualche “addetto ai lavori” italiano; posso solo dire che l’Italia rimarrà sempre un grande paese calcistico anche se abbiamo perso la nostra identità, Cesar Menotti diceva: “se un cane da caccia lo metti in un appartamento manterrà la sua razza ma perderà la sua natura”.

Ecco in Italia è successo e sta ancora succedendo questo, qualcosa non va più come una volta. Che cosa è successo a quel processo formativo naturale che ha prodotto i nostri più grandi giocatori? É colpa delle mamme italiane?

Secondo te, in cosa l’Italia deve migliorare nella formazione dei giovani calciatori? E quali sono, invece, i suoi punti di forza?

Partiamo dal punto di forza: come ho già detto nella risposta precedente l’Italia rimarrà sempre un grande paese calcistico e questo è un bene. Il problema, invece, per quanto riguarda la formazione giovanile, così come avviene in tanti altri paesi industrializzati nel mondo, è che i bambini non giocano più.

C’è una grande carenza di gioco in quelle fasce d’età dove l’unica “pedagogia”  efficace per imparare a giocare è giocando. E il giorno in cui i bambini smetteranno di giocare per via di tutta questa formazione “metodologica” (ecco che ritorna il problema della metodologia) e questa frenesia “all’allenamento precoce” non ci saranno più giocatori talentosi. Il pericolo, almeno qui in Italia, è molto alto. 

Nella tua esperienza, come si integrano teoria e pratica nella formazione dei giovani calciatori?

Non voglio essere ripetitivo, ma io conosco solo un modo per poter unire la teoria e la pratica: giocando. Mi piace vedere i giocatori giocare, mi affascina vedere quello che pu  succedere quando iniziano a interagire tra di loro, e questo mi aiuta a migliorare la mia “teoria” cercando, come risposta a questo fenomeno, di restituirgli una “pratica” che sia la più vicina possibile alle loro necessità. 

Che ruolo hanno le nuove tecnologie (dati, video analisi, app, ecc.) Nella tua metodologia di lavoro?

Io non sono contrario all’utilizzo di tecnologia, anzi ne faccio uso e mi aiuta tantissimo, ma sempre ricordandomi che non è la risposta alle esigenze del gioco. Come in tutti i campi della vita (oggi c’è un gran dibattito per esempio sull’utilizzo della IA) non è la tecnologia il problema ma quello che si pu  fare con il suo impiego.

L’ essere umano ha sempre dimostrato, nell’arco della storia, di avere grande creatività e spinta all’innovazione ma qualche volta queste hanno portato al degenerare. Ecco, la mia riflessione è questa: è “il come” utilizziamo tutta questa tecnologia, perché saremmo capaci anche di distruggerci se non ne facciamo buon uso. 

Quali sono i tuoi progetti o aspirazioni future nel mondo del calcio?

In questo momento di “inattività tecnica” (come mi piace chiamarla) la speranza primaria è di poter tornare ad allenare, mi manca il rapporto con i giocatori e lo stare in un campo di calcio. Per quanto riguarda le aspirazioni future sono sempre molto aperto a quello che il destino pu  riservarmi; ci  che deve arrivare arriva non siamo noi a deciderlo.

Per concludere, che opinione hai di Futbolverdadero e del suo contributo allo sviluppo calcistico?

Mi sembra un luogo dove gli allenatori o in generale gli appassionati di calcio possono interagire o, come nel mio caso, esprimere una propria opinione e attraverso di esso renderla pubblica e arrivare a tanta gente.

Spero che possa essere un punto di riferimento per tutti quegli allenatori che stanno iniziando la loro carriera, e che aumenti la sua visibilità per poter trasmettere un messaggio genuino e intellettualmente onesto in mezzo a tanta disinformazione. Buena Suerte Elfutbolverdadero.


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